Della mitopoiesi dell’agricoltore e dell’estetica rurale.

Di Roberta Bruno – di Karadrà

La necessità umana di “appartenenza” avvia processi di formazione ideologica con cui si attribuisce a fatti reali o alla loro narrazione, un valore fantastico che diviene riferimento culturale e sociale, si creano così i miti.

Oggi, la complessità della sfida, la totale assenza di visioni e la necessità di “sentirsi parte di” ha reso mitico l’Agricolore ed intorno a questa figura, si stanno costruendo narrazioni che non fanno altro che allotanarci dalla realtà e la realtà non è istagram, non è Fb, non sono i titoli dei giornali.

La realtà è fatta di campi sterili, di mancata sovranità alimentare, di migrazioni di anime disperate e tanto altro ancora.

Questa mitizzazione del contadino giusto, del martire dalla zappa sporca, unita alla deriva estetica fa si che, come già avvenuto all’operaio, l’agricoltore diventi poster da cameretta e così tutto il circo di pensatori, filosofi, divulgatori, opinionisti, comunicatori ed aspiranti leader ha finalmente del nuovo da rappresentare.

La totale assuefazione all’immagine che oggi sembra sostituire il reale, ci mette nelle condizioni di sentirci: eroi, giusti, rappresentanti di un cambiamento che non avviene, grazie a qualche like.

La realtà è che se la transizione di sistema in atto dovrà condurci alla sopravvivenza delle specie (ricordiamo che in dubbio è il nostro vivere sulla terra non la vita della terra) non c’è altra “appartenza” da considerare e se di sopravvivenza si parla non sarà il sacrificio dell’uomo solo in campo o la spesa etica che appaga l’ego dal piccolo borghese a salvarci.

La lotta in corso non è tra uomini, ma è degli uomini, la fantomatica transizione avviene con il cambiamento dei grandi sistemi che come ogni grande sconvolgimento ha un alto costo sociale e questo costo gli ultimi sulla terra lo pagano già da tanto.

Chiederei quindi con garbo di smettere di mitizzare la schiena curva del contadino e di iniziare a lavorare perchè quell’uomo in campo non sia più solo e sia oltretutto dotato di mezzi idonei a sentirsi parte del nuovo millennio e non residuo del medioevo, a questo aggiungerei la cortese richiesta ai ben pensanti e moralisti vari, di tenere a conto che del loro giusto e sbagliato, l’uomo che ha fame non se ne fa proprio nulla, come non serve alla natura, all’ambiente ma solo all’ego di chi ancora non ha colto la gravità del monento storico in corso.

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