Non bello da vedere ma buono da mangiare

In America li chiamano Ugly Mugs, in Francia sono Les Gueules Cassées, tradotto “i brutti ceffi”.

Sono frutta e ortaggi difettati, fuori calibro, danneggiati dalle intemperie, cresciuti male, privi delle caratteristiche estetiche necessarie per la messa in commercio.

In sostanza sono prodotti brutti ma buoni, buonissimi.

E sembrano essere diventati la nuova sfida di un commercio etico e sostenibile, in un contesto mondiale dove oltre 800 milioni di persone soffrono la fame, e dove, dicono i dati della FAO, vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo all’anno.

Il “prodotto naturale” sta assumendo una posizione sempre più di rilievo, e i consumatori sono sempre più pronti a dare il giusto valore anche a un prodotto esteticamente non perfetto, confermando che quel che è brutto è anche buono.

Si tratta di prodotti che hanno le medesime garanzie di sicurezza alimentare dei loro equivalenti “belli”.

È importante superare l’assurda dicotomia per cui, in cucina, ciò che è buono deve anche essere bello.

Verdura ortaggi e frutta  che  hanno forme scomposte, piuttosto piccole come misure, pezzature diverse tra loro, oppure presentano ammaccature, vengono inesorabilmente eliminati dal mercato, scartati.

Per non parlare dei colori, solitamente un frutto, una verdura o un ortaggio che non brillano vengono scartati come se fossero articoli di una gioielleria, mentre il 40% del cibo su pianeta finisce sprecato a causa di questa assurda logica del bello a tutti i costi.

Malgrado le apparenze questi prodotti hanno invece un sapore squisito, se c’è la qualità questo spreco è assurdo, per gli agrumi dalla buccia rovinata esempio o per i peperoni dalla forma irregolare, un’altra vita è possibile. 

Dal campo di coltivazione alla nostra tavola, un prodotto  libero dagli standard.

Verdura e frutta non calibrata che la grande distribuzione non espone, ha lo stesso valore di un prodotto che esteticamente si presenta bello ma non dice nulla e non sa di niente.

Anzi, si arriva a preferirlo proprio per la caratteristica naturale e genuina che propone e senza variazione di prezzo.

Perché dovrebbe valere di meno?

Quel prodotto ha ricevuto le stesse cure e attenzioni dal coltivatore, con gli stessi ed identici costi di produzione e le stesse problematiche, quindi è assurdo non dare lo stesso valore solo per l’aspetto estetico.

Il consumatore a MalaChianta è pronto a questo perché ha raggiunto un grado elevato di consapevolezza, tale da non permettere che questo tipo di prodotto venga abbandonato nei campi evitando un inutile spreco alimentare, garantendo al produttore  dignità e reddito.

Se pensi che qualcosa è brutto, stai guardando male. La bruttezza è solo un fallimento del vedere.
(Matt Haig)

A questo punto è doveroso un “basta” ai prodotti agroalimentari bellissimi, ma non per questo buonissimi, una svolta verso prodotti innanzitutto sani e buoni , prima ancora che belli, basta essere consapevoli e scegliere.

È questo il nostro potere, scegliere, e attraverso queste nostre scelte decidere dove destinare le nostre risorse economiche e non essere complici di assurdi sprechi dannosi per noi, l’ambiente, il territorio e l’agricoltura.

Il concetto di bruttezza, come peraltro quello di bellezza, è relativo.

Il nostro modo di vedere e valutare, da decenni è manovrato da campagne pubblicitarie e sistemi di marketing che ci inducono a standardizzare ogni cosa, proviamo invece ad usare la nostra testa in quanto esseri pensanti dotati di intelligenza.